[Non solo Spritz > cenni filosofico-letterari del prof. Pontello]
#SAPEVATELO
Georges Perec (1936-1982) è uno dei più geniali e innovativi autori del Novecento. La vita istruzioni per l'uso, pubblicato nel 1978, è stato salutato da Calvino, alla sua apparizione in italiano (1984), come un capolavoro.
Un confronto tra G.Perec (La vita: istruzioni per l’uso,Rizzoli)
e W.G. Sebald (Austerlitz, Adelphi),
passando per W. Benjamin (I “passages”di Parigi, Einaudi).
Sia in Perec che in Sebald,
colpisce il ricorso ad un vasto ed insistito corredo di reperti iconografici
che rompono la “forma-romanzo”. Le fotografie di Sebald sono reperti auratici
di quella ratio ordinatrice che Perec
traduce in puntigliosa ostensione di etichette, insegne, graffiti del nostro
recente passato, parodizzati fino al nonsenso in una collezione di tracce. Specificando: la traccia è l’apparizione di una vicinanza, anche se è lontano
chi l’ha lasciata. E’ l’epifania
dell’immanenza.
L’aura è l’apparizione di una lontananza, per quanto vicino
sia ciò che la suscita. E’ l’epifania della trascendenza.
Il collezionismo libera gli
oggetti dalle loro relazioni funzionali e però ogni oggetto di collezione si
presenta come traccia di un
mondo sistematico ed ordinato. Per il collezionista ogni oggetto vale per tutto
il suo passato, esso è compendio enciclopedico del mondo. Per questo un solo
pezzo mancante alla collezione ne rende fallimentare la valenza sistematica ed
universalistica.
Viceversa l’oggetto portatore
di aura è unico, non riconducibile
a un sistema produttivo e quindi non collezionabile, se non dopo averlo
desacralizzato e storicizzato.
Anche in Sebald esiste certo una sistematica, ma essa si
presenta come fragile conato, continuamente minacciata dall’equivoco, dalla
coincidenza inquietante, dalla debolezza dei ricordi . Il percorso di Perec va
dall’aura alla traccia, senza ridursi ad essa; quello di Sebald viceversa. Ma
l’esito tendenziale sembra per entrambi identico: il feticismo e lo scacco
della ratio.
Perec constata laicamente che il decesso dell’aura, del magico, del sacro,
lascia un mondo di oggetti desolati, inventariabili ma non mai riconducibili a
senso compiuto; essi sono solo elencabili con precisione e attorno a loro
sembra ruotare residualmente la vicenda umana, come se essi fossero l’unico
possibile soggetto della storia: feticci.
Il che propone la responsabilità ed il compito infinito di dare un senso alla
complessità, sapendo che ciò avviene nell’orizzonte del reversibile, del
provvisorio, e che non è dall’utopistico raggiungimento della perfezione logica
del sistema che dobbiamo attenderci salvezza (Nietzsche, Popper, Lyotard… ).
Sebald è religiosamente sulle tracce del sacro, quindi dell’aura perduta che
traluce misteriosamente e casualmente negli oggetti, che diventano allora
perturbanti, portatori di una magica potenza: appunto feticci ( Benjamin,
Heidegger,Kafka…).
In Perec il feticismo è
collezionistico, in Sebald auratico, per entrambi allegorico( in Benjamin
l’allegoria barocca è nostalgia della parola sacra, nell’impossibilità di
ricomporre l’infranto), in senso laico immanentistico in Perec, in senso
religioso trascendentale in Sebald.
L’immagine dell’ Angelus
novus che si ritrae inorridito dal
mondo abbandonato dall’aura ci rimanda alla problematica esigenza di
rintracciare negli oggetti quella sacralità che hanno perso nel momento in cui
abbiamo cessato di investirli simbolicamente dei nostri sogni ( analogamente
Benjamin, Sulla lingua in generale e sulla lingua degli uomini ).
L’ Aufklarung, capace di comprendere che ogni preghiera implica un
inganno agli dei, che l’economia dello scambio sta dietro ad ogni dono
apparente, che ogni oggetto di desiderio va innanzitutto pagato, produce una
riduzione universale alla cosalità
(si spiega anche così la
“depressione” di Sebald, la sua eterna migrazione alla ricerca di un Io
perduto, che ritrova se stesso solo quando un’aura sfiora gli oggetti, che
allora gli parlano come emergendo dal buio, per poi irrimediabilmente
ripiombarvi).
Che altro è ciò che chiamiamo
Dio, se non la personificazione del desiderio infantile nella totalitaria
onnipotenza del principio del piacere? Ebbene, quest’ultimo è portatore di una
divina follia, che crea a propria immagine una natura vivente tremenda,
misteriosa, potente e bella. Il principio di realtà, invece, spoglia il vivente,
riducendo la creazione simbolica a un semplice problema tecnico per il
raggiungimento dell’oggetto di desiderio. Con la scomparsa di ogni traccia del
divino dal mondo, le cose cessano dunque di parlarci come rispecchiamento
dell’umano nel divino. Di qui anche l’impoverimento dell’immaginario: non più
le meravigliose metamorfosi narrate da Ovidio, ma le nomenclature della
botanica, della zoologia, dell’astronomia. Non più grandiosi mostri da
sconfiggere, ma mulini a vento.
Sebald sembra voler seguire
la via indicata da Benjamin, riscoprendo, come si è detto, una magia interiore
e apparentemente privata fatta di inspiegabili coincidenze, di manufatti che
sembrano indicare qualcosa oltre di sé, simboli deboli, fuggitivi, destinati a
rapida scomparsa. No, l’identità non verrà riconquistata nemmeno con il
recupero della propria storia.
In Perec, d’altro canto, la
grandiosità mitologica di cose ed eventi sembra destinata a ridursi a un mondo-
reperto che rimanda a un’infinita serie di significati che a loro volta
divengono mondo- reperto, come nei frattali, fino a che, a considerare il
processo nella sua globalità, quello che rimane di fondamentale è la pura
funzione significante. Ma nel mentre esamina i suoi oggetti, egli ha piena
consapevolezza del rischio che
l’aura si riduca a traccia da collezionista, cui sempre e fatalmente finirà per
mancare un pezzo.
Vittorio Pontello
1 commento:
Vittòòò, mi sento terribilmente ignorante, confesso di averci capito ben poco...mi sa che leggerò sia Perec che Sebald, però...
Posta un commento