28/11/12

PEREC <|> SEBALD <|> BENJAMIN... non solo Spritz!

PEREC <|> SEBALD <|> BENJAMIN
[Non solo Spritz > cenni filosofico-letterari del prof. Pontello]

#SAPEVATELO
Georges Perec (1936-1982) è uno dei più geniali e innovativi autori del Novecento. La vita istruzioni per l'uso, pubblicato nel 1978, è stato salutato da Calvino, alla sua apparizione in italiano (1984), come un capolavoro. 
 

Un confronto tra  G.Perec (La vita: istruzioni per l’uso,Rizzoli) 

e W.G. Sebald (Austerlitz, Adelphi),   

passando per W. Benjamin (I “passages”di Parigi, Einaudi).


Sia in Perec che in Sebald, colpisce il ricorso ad un vasto ed insistito corredo di reperti iconografici che rompono la “forma-romanzo”. Le fotografie di Sebald sono reperti auratici di quella ratio ordinatrice che Perec traduce in puntigliosa ostensione di etichette, insegne, graffiti del nostro recente passato, parodizzati fino al nonsenso in una collezione di tracce. Specificando: la traccia è l’apparizione di una vicinanza, anche se è lontano chi l’ha lasciata.  E’ l’epifania dell’immanenza.
L’aura è l’apparizione di una lontananza, per quanto vicino sia ciò che la suscita. E’ l’epifania della trascendenza.
Il collezionismo libera gli oggetti dalle loro relazioni funzionali e però ogni oggetto di collezione si presenta come traccia di un mondo sistematico ed ordinato. Per il collezionista ogni oggetto vale per tutto il suo passato, esso è compendio enciclopedico del mondo. Per questo un solo pezzo mancante alla collezione ne rende fallimentare la valenza sistematica ed universalistica.
Viceversa l’oggetto portatore di aura è unico, non riconducibile a un sistema produttivo e quindi non collezionabile, se non dopo averlo desacralizzato e storicizzato.

Anche in Sebald esiste certo una sistematica, ma essa si presenta come fragile conato, continuamente minacciata dall’equivoco, dalla coincidenza inquietante, dalla debolezza dei ricordi . Il percorso di Perec va dall’aura alla traccia, senza ridursi ad essa; quello di Sebald viceversa. Ma l’esito tendenziale sembra per entrambi identico: il feticismo e lo scacco della ratio.
   Perec constata laicamente che il decesso dell’aura, del magico, del sacro, lascia un mondo di oggetti desolati, inventariabili ma non mai riconducibili a senso compiuto; essi sono solo elencabili con precisione e attorno a loro sembra ruotare residualmente la vicenda umana, come se essi fossero l’unico possibile soggetto della storia:  feticci. Il che propone la responsabilità ed il compito infinito di dare un senso alla complessità, sapendo che ciò avviene nell’orizzonte del reversibile, del provvisorio, e che non è dall’utopistico raggiungimento della perfezione logica del sistema che dobbiamo attenderci salvezza (Nietzsche, Popper, Lyotard… ).
  Sebald è religiosamente sulle tracce del sacro, quindi dell’aura perduta che traluce misteriosamente e casualmente negli oggetti, che diventano allora perturbanti, portatori di una magica potenza: appunto feticci ( Benjamin, Heidegger,Kafka…).

In Perec il feticismo è collezionistico, in Sebald auratico, per entrambi allegorico( in Benjamin l’allegoria barocca è nostalgia della parola sacra, nell’impossibilità di ricomporre l’infranto), in senso laico immanentistico in Perec, in senso religioso trascendentale in Sebald.
  
L’immagine dell’ Angelus novus che si ritrae inorridito dal mondo abbandonato dall’aura ci rimanda alla problematica esigenza di rintracciare negli oggetti quella sacralità che hanno perso nel momento in cui abbiamo cessato di investirli simbolicamente dei nostri sogni ( analogamente Benjamin, Sulla lingua in generale e sulla lingua degli uomini ).
L’ Aufklarung, capace di comprendere che ogni preghiera implica un inganno agli dei, che l’economia dello scambio sta dietro ad ogni dono apparente, che ogni oggetto di desiderio va innanzitutto pagato, produce una riduzione universale alla cosalità
(si spiega anche così la “depressione” di Sebald, la sua eterna migrazione alla ricerca di un Io perduto, che ritrova se stesso solo quando un’aura sfiora gli oggetti, che allora gli parlano come emergendo dal buio, per poi irrimediabilmente ripiombarvi).
Che altro è ciò che chiamiamo Dio, se non la personificazione del desiderio infantile nella totalitaria onnipotenza del principio del piacere? Ebbene, quest’ultimo è portatore di una divina follia, che crea a propria immagine una natura vivente tremenda, misteriosa, potente e bella. Il principio di realtà, invece, spoglia il vivente, riducendo la creazione simbolica a un semplice problema tecnico per il raggiungimento dell’oggetto di desiderio. Con la scomparsa di ogni traccia del divino dal mondo, le cose cessano dunque di parlarci come rispecchiamento dell’umano nel divino. Di qui anche l’impoverimento dell’immaginario: non più le meravigliose metamorfosi narrate da Ovidio, ma le nomenclature della botanica, della zoologia, dell’astronomia. Non più grandiosi mostri da sconfiggere, ma mulini a vento.

Sebald sembra voler seguire la via indicata da Benjamin, riscoprendo, come si è detto, una magia interiore e apparentemente privata fatta di inspiegabili coincidenze, di manufatti che sembrano indicare qualcosa oltre di sé, simboli deboli, fuggitivi, destinati a rapida scomparsa. No, l’identità non verrà riconquistata nemmeno con il recupero della propria storia.

In Perec, d’altro canto, la grandiosità mitologica di cose ed eventi sembra destinata a ridursi a un mondo- reperto che rimanda a un’infinita serie di significati che a loro volta divengono mondo- reperto, come nei frattali, fino a che, a considerare il processo nella sua globalità, quello che rimane di fondamentale è la pura funzione significante. Ma nel mentre esamina i suoi oggetti, egli ha piena consapevolezza del  rischio che l’aura si riduca a traccia da collezionista, cui sempre e fatalmente finirà per mancare un pezzo. 
Vittorio Pontello

1 commento:

Sveva ha detto...

Vittòòò, mi sento terribilmente ignorante, confesso di averci capito ben poco...mi sa che leggerò sia Perec che Sebald, però...